"M'illumino di… testo"

di T. Gargano

Attività 0 - Fase 2

Michele Mari

Sergio Corazzini, con Desolazione del povero poeta sentimentale, testimonia un’altra idea di poesia, quasi una condanna; semplicità e tristezza caratterizzarono infatti la sua vita, di uomo e di poeta, accompagnata da un costante e ostentato desiderio di morte:

 

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ha che le lagrime da offrire al Silenzio1.
Perché tu mi dici: poeta?


Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.


Io voglio morire, solamente perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli2
su le vetrate delle cattedrali
mi fanno tremare d'amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio3,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.


Oh, non maravigliarti4 della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio così vane,
che mi verrebbe da piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l'aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente5
ma io non sarei un poeta;
sarei semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.


Io mi comunico6 del silenzio, cotidianamente7, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poiché senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.


Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto8
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.


Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi9, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.


Oh, io sono veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.

Parafrasi

Anche in questo caso, nella semplicità dello stile (che presenta un andamento da prosa, molto lineare, e una scelta di vocaboli d’uso quotidiano), il poeta ironizza e polemizza, molto probabilmente, con qualche altro suo illustre collega molto più celebrato e vincente di lui. Questo atteggiamento ironico e polemico di Corazzini diventa esplicito nei versi finali, lì dove egli conclude il testo con la constatazione che ci voglia ben altro per essere considerati poeta, rispetto, evidentemente, alla sua vita (semplice e sofferente).

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1. L'utilizzo del maiuscolo divinizza il 'silenzio'.
2. Grafia arcaica, sta per 'angeli'.
3. Lo specchio riflette la realtà, immagini esterne a lui; così il poeta, qui, vuol intendere che lui vive di vita non propria, ma riflessa, esattamente come uno specchio (malinconico).
4. Forma letteraria, per 'meravigliarti'.
5. Il numero sette è un numero magico (cabalistico); qui, probabilmente, il poeta allude alla Madonna dei sette dolori.
6. Vocabolo gergale cattolico (sta per 'partecipo alla comunione'; mi 'accosto' a Gesù, come verrà precisato subito dopo).
7. Latinismo, da cotidie, quotidianamente.
8. Picchiato.
9. Svanire.