"M'illumino di… testo"

di T. Gargano

Attività 0 - Fase 1

In una piccola canzone della Vita nuova, Dante dice di sé che scrive sotto dettatura di “Amore”; ecco il testo della canzone 18 [XXVII] 3:

Sì lungiamente m'à tenuto  Amore                          1
e costumato alla sua segnoria,
che sì com'elli m'era forte in pria,                            3
così mi sta soave ora nel core.
Però quando mi tolle sì 'l valore
che li spiriti par che fuggan via,                                6
allor sente la frale anima mia
tanta dolcezza, che 'l viso ne smore.
Poi prende Amore in me tanta virtute,                       9
che fa li miei spirti gir parlando,
ed escon for chiamando
la donna mia, per darmi più salute.                         12
Questo m'avene ovunque ella mi vede,
e sì è cosa umil, che nol si crede.

Si tratta di una canzone di una sola stanza (monostrofica) e di soli quattordici versi, con il seguente schema delle rime: ABBA ABBA (a) CDdCEE (si vedano le considerazioni sulle canzoni e sulla poesia per musica presenti nell’U.T. Istituzioni letterarie, a cura di Natascia Tonelli). Questa canzone a noi interessa per quello che Dante scrive ai versi 9-12: la forza («virtute») di Amore lo spinge a «gir parlando»; lo spinge, cioè, a scrivere del suo amore per la donna («chiamando / la donna mia»).

Com’è noto, la Vita nuova è una raccolta di trentuno liriche in vario metro, di età giovanile (scritta verosimilmente tra il 1292 e il 1294), tenute assieme (diremmo ‘cucite’ assieme) da una prosa che a tratti è autobiografica, a tratti invece è didattica, esplicativa, digressiva, erudita, ecc. Per questa sua forma mista (poesia e prosa) la Vita nuova è stata definita “prosimetro” (cfr. quanto si legge nell’U.T. Istituzioni letterarie, a cura di Natascia Tonelli, sul primo prosimetro della letteratura italiana). Dante, sotto la finzione narrativa di una storia d’amore (straordinaria), dispone cronologicamente testi e momenti importanti della sua esperienza intellettuale e poetica di circa un decennio (tra il 1283, data di composizione del primo sonetto dell’opera, e il 1291, anniversario della morte di Beatrice, la donna amata – e cantata – da Dante, e data di composizione dell’ultimo sonetto della Vita nuova).

Anche nella tradizionale iconografia dantesca, il poeta viene raffigurato generalmente seduto e ‘illuminato’ da un fascio di luce (l’ispirazione) che gli giunge dall’alto (dal cielo), a indicare visivamente l’origine divina della sua poesia.
Analogo concetto viene ribadito da Dante qualche anno dopo, nella Commedia, precisamente nel canto XXIV del Purgatorio:

[…]
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
‘Donne ch’avete intelletto d’amore’».
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
Ch’e’ ditta dentro vo significando».

Parafrasi


Il ‘viaggiatore’ Dante si trova nella sesta cornice del monte del Purgatorio e il veloce scambio di battute è con l’anima penitente di Bonagiunta Orbicciani da Lucca (1220 circa – 1290 circa), un poeta della generazione precedente alla sua. Il verso che Bonagiunta cita è quello iniziale della prima canzone della Vita nuova di Dante, con la quale, in effetti, egli diede inizio alla nuova poetica della “loda” della donna. In questo modo il Poeta sottolinea il carattere di novità della sua poesia, rispetto alla precedente, perché ispirata da “Amore”.

In occasione del ritiro del premio Nobel per la poesia (ottenuto da Eugenio Montale nel 1975), il premiato, generalmente, tiene un intervento pubblico (una specie di lectio-prolusione) durante la cerimonia di consegna del premio, presso l’Accademia di Svezia. Eugenio Montale tenne la sua lezione-prolusione sulla poesia e sulle possibilità di sopravvivenza di questa forma espressiva umana nella nostra età contemporanea, sempre più caratterizzata, a suo giudizio, dal soffocante rumore di fondo dei mass-media.

Questo intervento del Poeta venne poi pubblicato l’anno successivo con il titolo Sulla poesia; qui riportiamo alcuni passaggi significativi ai fini del nostro percorso didattico:

[…]
Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa? […]
Nell’attuale civiltà consumistica che vede affacciarsi alla storia nuove nazioni e nuovi linguaggi, nella civiltà dell’uomo robot, quale può essere la sorte della poesia? Le risposte potrebbero essere molte. La poesia è l’arte tecnicamente alla portata di tutti: basta un foglio di carta e una matita e il gioco è fatto. Solo in un secondo momento sorgono i problemi della stampa e della diffusione.

 

In alcuni punti del brano che abbiamo riportato sembra che il poeta anticipi alcune questioni tipiche del nostro tempo: egli infatti ribadisce che la poesia è ‘tecnicamente’ un’arte semplice e alla portata di tutti; soltanto in un secondo momento sorgono (o sorgerebbero) problemi, legati più che altro alla pubblicazione e alla diffusione del libro di poesie. Ebbene, queste ultime difficoltà, che Montale paventa per la fase della pubblicazione e della diffusione della poesia, in realtà, oggi, non sarebbero più tali, se solo pensassimo alle enormi possibilità che la rete di Internet e, più in generale, la tecnologia digitale mettono a disposizione di chi voglia pubblicare le proprie opere e diffonderle.

Nel nostro tempo, dunque, non soltanto la scrittura della poesia (o di un racconto / romanzo) è alla portata di tutti, come già notava Montale per il suo tempo, giudicando necessario e sufficiente per un poeta disporre di matita e foglio di carta, ma anche la conseguente pubblicazione e diffusione dell’opera. Anzi, oggi, per alcuni aspetti le cose si sono pure ulteriormente semplificate e potenziate: un autore infatti, pubblicando su Internet la propria opera (in forma di blog o su un social network) accede, di fatto, a un pubblico di lettori globale, smisurato, sicuramente di numero notevolmente maggiore rispetto agli ipotetici acquirenti-lettori di un tradizionale libro di carta.