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Il parlato

di Cristina Lavinio - GISCEL  

6 -Testi orali e contesto

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Spie linguistiche molto forti dello strettissimo legame tra i testi orali e il contesto in cui vengono prodotti sono i deittici, cioè quella classe di elementi che acquistano un senso preciso e di volta in volta differente nei diversi contesti in cui vengono usati. Sono avverbi o altre espressioni di luogo e di tempo (i vari “ieri, oggi, domani, ora, qui, laggiù”), dimostrativi (come “questo, quello”), forme personali (sia pronomi come “io, tu”, sia desinenze verbali di prima, seconda persona, almeno nelle lingue che fanno tale distinzione morfologica). Anche molti tempi verbali hanno valore deittico, se esprimono un tempo che è presente, passato o futuro rispetto al momento in cui si parla.


Del contesto comunicativo fanno parte, ovviamente, lo stesso soggetto parlante e i suoi destinatari. I maggiori legami dei testi parlati con elementi del contesto sono denunciati dunque anche dalla maggiore soggettività, espressa linguisticamente, in essi reperibile: la prima persona (deittica) degli autoriferimenti di chi parla e dice “io” vi emerge spesso, così come il “tu” o il “voi” dei suoi destinatari (che vengono sollecitati anche mediante fatismi, cioè formule di contatto per richiamarne l'attenzione: vero? chiaro? ecc.), e dai quali proviene quel feed-back che, se ben utilizzato, permette di tenere costantemente sotto controllo la efficacia comunicativa del messaggio che si produce. Ma nel parlato si usano anche, molto più spesso che non nello scritto, intere parti del discorso come le interiezioni, portatrici privilegiate della funzione emotiva ed espressione, ancora una volta, della soggettività del parlante. E si pensi alla particolare frequenza delle particelle modali nel tedesco parlato (si ricordi che la modalità è l’espressione dell’atteggiamento del parlante verso ciò di cui sta parlando: in ciò si può dunque intravedere, ancora una volta, una soggettività maggiormente esibita). In altre parole, il parlato comporta maggiore vicinanza e adesione/coinvolgimento, anche emotivo, nel dire e rispetto a quanto si dice; la scrittura maggiore distanza e neutralità.


Anche certe costruzioni di frase, con un ordine delle parole diverso da quello considerato come standard o non marcato (e che è in genere quello più ‘neutro’ usato nella scrittura), rivelano il legame strettissimo tra parlato e contesto, manifestando un andamento guidato da precisi scopi pragmatici di messa in evidenza (o focalizzazione) di qualcosa su cui chi parla dirige e vuole che sia diretta l’attenzione prevalente.  Limitandoci qui ad alcuni esempi, ricordiamo che, nell’italiano, si tratta soprattutto di

a) dislocazioni a sinistra (es.: quel libro l’ho letto) oppure a destra (es.: l’ho letto quel libro): il tema (nell’es.: quel libro) su cui l’attenzione viene indirizzata è nel primo caso portato in prima posizione e poi ripreso mediante un pronome atono; nel secondo caso è invece anticipato dal pronome atono (lo) all’inizio dell’enunciato. Risulta evidentemente modificato, comunque, l’ordine standard SVO (Soggetto+Verbo+Oggetto) delle parole nelle frasi italiane non marcate (in questo caso la costruzione non marcata, con soggetto sottinteso, sarebbe ovviamente Ho letto quel libro);


b)
frasi scisse (es.: è quel libro che ho letto), dove il tema (quel libro) è come ‘foderato’ tra il verbo iniziale e il che successivo. Ne risulta così evidenziato, mentre il senso complessivo dell’enunciato diventa più o meno evidentemente contrastivo (nell’es. fatto, voglio rimarcare che ho letto proprio quel libro e non un altro);


c) enunciati con tema sospeso (es.: Quel libro. Ho letto), con una pausa forte dopo il tema (qui quel libro) di cui si vuol parlare, introdotto con una specie di annuncio, senza però riprenderlo grammaticalmente inserendolo in una struttura di frase.  

La voce o l’enfasi possono accentuare le sottolineature pragmatiche del tema realizzate in enunciati del genere. Difficilmente i costrutti a tema sospeso sono accettabili nella scrittura; ma così non è per dislocazioni e frasi scisse, che sempre più spesso vengono usati soprattutto in certi tipi di scrittura, specie giornalistica. Lo si deve ricordare per non istituire, come si è detto, confini troppo netti tra usi linguistici parlati e scritti: si tratta semmai di una loro maggiore incidenza nel parlato, dove rispondono a determinate esigenze comunicative, a fronte della loro minore incidenza nello scritto dove, addensandosi eccessivamente, costrutti del genere finiscono anche per produrre un effetto di pesantezza, nettamente contrario a quello di scioltezza e maggiore naturalezza che si voglia perseguire assumendo il parlato come modello.


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