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Il parlato

di Cristina Lavinio - GISCEL  

10 - In sintesi - Differenze tra parlato e scritto reperibili in tutte le lingue

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È utile ribadire che, benché siano stati fatti esempi tratti dall’italiano, la tipologia dei  fenomeni di parlato fin qui illustrati è reperibile in ogni lingua, con forme e scelte linguistiche spesso equivalenti a quelle già ricordate. Sarà compito dell’insegnante delle varie lingue trovare gli esempi relativi nella lingua insegnata.

 

In sintesi e/o precisando e arricchendo ulteriormente il quadro complessivo, è utile riproporre un breve elenco dei caratteri principali del parlato, che lo differenziano dallo scritto.

 

Il parlato:

  1. è più immediatamente legato al contesto (o situazione extralinguistica) in cui viene prodotto. Ciò si traduce in una maggiore ricorso, nel parlato, ai deittici, inclusi quelli che rinviano a chi parla, che dice io e che, con la propria soggettività, entra in modo più manifesto nel discorso prodotto (mentre la scrittura, più staccata e ‘distante’ dal contesto, essendo questo quasi mai condiviso da emittente e destinatario, è tendenzialmente più ‘oggettiva’). Ciò può determinare anche la maggiore complessiva ‘allusività’ e implicitezza linguistica del parlato: soprattutto quando il parlato sia il prodotto di un’interazione tra interlocutori che si conoscono bene a vicenda, che fanno riferimento a conoscenze condivise o largamente condivise, queste possono essere evocate solo allusivamente, senza compromettere l’efficacia della comunicazione;

  2. è più frammentario e, insieme, più ripetitivo: nel parlato la processualità del farsi del discorso (provvisto in genere anche di un grado inferiore di pianificazione complessiva) mettendo le parole l’una dopo l’altra, costruendolo con maggiore o minore scioltezza, è in primo piano, alla portata percettiva del destinatario. Invece, ciò che resta in evidenza, nella scrittura, è il solo testo prodotto: completamente cancellata dalla portata percettiva del destinatario è la fatica del processo della sua  elaborazione. Tutte le incertezze e oscillazioni legate a tale ‘fatìca’ sono invece palesi nel parlato, con conseguenze linguistiche evidenti: frasi in sospeso, rotture di costruzione, zeppe e riempitivi di silenzio (che, vuoti di significato, servono per prendere tempo mentre si progetta localmente e a piccoli passi come andare avanti: si cerca una parola, un’espressione particolare ecc.); mentre le ripetizioni (delle stesse parole, costrutti ecc.) sono dovute al fatto che non si ha molto tempo per variare il discorso ricorrendo a sinonimi, a schemi di frase differenti ecc.: è molto più semplice e immediato ripetere scelte già fatte. Così, per esempio, la ripetizione delle stesse parole diventa il modo più normale per instaurare in un testo parlato rapporti di coreferenza (cioè i rapporti tra diverse forme linguistiche che riprendono in vario modo un medesimo referente-oggetto di discorso: sostituendolo con un pronome, ribadendolo con un sinonimo oppure, appunto, riprendendolo con una ripetizione);

  3. è meno preciso anche quanto a vocaboli usati: si usano quelli dal significato più generico, più immediatamente a disposizione in quanto più frequenti;  

  4. è meno denso informativamente: nei testi prodotti nel parlato, per l’insieme dei fattori sopra ricordati, il significato è come ‘diluito’ entro un cumulo di parole, spesso vuote (di significato) – compresi i riempitivi – e ciò contrasta con la maggiore complessiva densità informativa che caratterizza la scrittura, in cui la stessa quantità di informazione risulta veicolata, mediamente, da un numero inferiore di parole che sono esse stesse più ‘dense’ semanticamente, cioè molto più ‘piene’ di tratti di significato  preciso;

  5. è  soggetto a fenomeni di messa in rilievo pragmatica, che incidono sull’ordine delle parole e sull’adozione di determinati costrutti frasali. Certi tipi di costrutti usati spesso nel parlato non vengono usati affatto o non vengono usati con la medesima frequenza nella scrittura;

  6. può essere caratterizzato, in molte lingue, da un certo numero di vocaboli, di espressioni   idiomatiche e colorite che normalmente non vengono usate nella scrittura; tra queste anche gli ideofoni, espressioni che, con la loro forma fonica, tendono a dare l’idea di un suono (es: crac!) o di un tipo di movimento (es.: zig zag) o della repentinità di un’azione (zac!). Sono molto usati, non a caso, nel narrare oralmente (oltre che nella particolare forma di scrittura dei fumetti);

  7. è caratterizzato, soprattutto se veloce, da fenomeni detti “di allegro”, cioè da fenomeni che determinano, nella catena parlata, frequenti aferesi, apocopi, assimilazioni, alterazioni e semplificazioni di suoni ecc., tali da rendere spesso difficilmente segmentabili e riconoscibili le singole parole, specie per parlanti non nativi. Ess. italiani: ‘nsomma/’somma; ‘sto per questo; son andato (anche so’ andato o so’ anda’ nell’italiano dell’Italia centrale, marcato dunque anche in diatopia); arimmetica per aritmetica, propio per proprio;

  8. è più evidentemente soggetto alla variabilità diatopica che, almeno quanto a pronuncia e intonazione, è difficilmente eliminabile e rivela più o meno immediatamente l’origine (e/o lo status culturale) del parlante; mentre la lingua scritta, tendenzialmente più standard, può arrivare a cancellare completamente tali caratteri;

  9. si associa, sull’asse della variazione diafasica,  per lo più a stili o registri mediamente meno formali che non lo scritto.

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