Scrittura creativa: mondi immaginari

di C. Nesi

Attività 1 - Fase II

Come presentare il personaggio?

Conquistarsi un lettore è un po’ come conquistare un amico. Tutto si gioca su un accordo di fiducia: più i personaggi saranno ricchi di spessore, più i loro comportamenti saranno sorretti da ragioni sensate e più il lettore sarà disposto a dare credito illimitato a chi scrive. E accetterà di credere anche a cose fantastiche o a mondi alternativi, purché costruiti secondo leggi di coerenza interna.

In caso contrario, chiuderà le pagine.



Ora, le modalità per mettere in scena un personaggio sono infinite, ma noi affineremo lo sguardo sulle più frequenti, rimandando a momenti successivi del percorso la messa a fuoco del personaggio attraverso il dialogo o attraverso l’ambiente, in cui si trova a vivere:



Cosa si intende con l’espressione “personaggio solido”?


La solidità di un personaggio dentro un qualsiasi luogo narrativo, anche dentro a un film, non coincide con il fatto che quello stesso personaggio sia una persona solida, tutta d’un pezzo, con suoi solidissimi princìpi, morali o immorali che siano. Un personaggio è solido quando, nel racconto, ha un posto, ruolo, figura, voce, gestualità e interiorità che ne fanno un punto di attenzione e di attrazione. (Bruno Fornara)
Un personaggio è semplicemente una persona piazzata dentro a una storia, e io di persone solide non ne conosco nessuna, fortunatamente. Conosco invece persone fragili, complicate, contraddittorie, ansiose, preoccupate, indecise, impulsive, squinternate, e quando scrivo storie parlo di loro, sono loro i miei personaggi preferiti. (Lucia Moisio)

(da D. Voltolini, A. Garavaglia, G. Vasta (a cura di). FAQ. Domande e risposte sulla narrazione)

Come s’inventa un’azione del personaggio?


Bisogna scavare a fondo nei personaggi, rivelare il loro carattere, mostrare la loro personalità. […] Spesso in un buon racconto è proprio il carattere del personaggio a determinare lo sviluppo dell’azione. Mentre nei racconti dei principianti sembra quasi che lo scrittore abbia prima pensato all’azione e poi rimediato alla meglio il personaggio in grado di compierla. Facendo il contrario, di solito, le cose riescono meglio. Se cominci da una personalità vera, da un vero personaggio, qualcosa accadrà per forza.

F. O’Connor Nel territorio del diavolo

Approfondimento per il docente

Le azioni in rapporto alla “routine sociale”

Pensiamo a un gesto banale come un colpetto dato con un gomito. Rom Harré suggerisce di coglierne il significato attraverso una lettura a tre livelli:

  • come un movimento corporeo o un suono (es. colpo di gomito);
  • come un’azione incorporata in un sistema di relazioni con altre azioni (es. chiamare + gomitata; nuocere + gomitata…);
  • come un’azione calata in una realtà sociale, che la interpreta secondo regole d’uso comune (es. attirare l’attenzione di un amico con un colpetto di gomito o dare una gomitata per nuocere a qualcuno con cui si ha un contrasto).

Ovviamente, in contesti sociali diversi la lettura degli atti può variare. In Inghilterra se il primo ministro attirasse l’attenzione della regina Elisabetta con un colpetto di gomito rischierebbe grosso!

È evidente che l’azione non è legata solo alle motivazioni del personaggio, alla sua psicologia, ma anche al suo ruolo sociale, al contesto in cui l’atto si realizza.

L’intellegibilità delle azioni è sempre in rapporto alla “routine sociale”, che ha una sua ritualità e può essere verbalizzata in una sua “rappresentazione” narrativa.

Prendiamo ad esempio un pendolare che tutte le mattine prende il treno. Tutto è già precostituito, a meno che il treno non abbia dei ritardi o ci sia uno sciopero o l’abbonamento sia scaduto.

L’impiegato pendolare può compiere tutte le azioni in modo quasi automatico, ma all’occorrenza sa anche rappresentarsele, perfino nei dettagli; sa, ad esempio, quanto tempo impiega l’autobus a portarlo alla stazione o qual è il treno successivo che può prendere se si sveglia tardi. La possibilità di riprodurre nella propria mente le routine sociali favorisce la risoluzione dei compiti, proprio perché l’individuo, in questo modo, non solo segue, ma si rappresenta anche le norme, le convenzioni e le regole di una cultura. […]
La seconda tecnica, con la quale si cerca di garantire l’intelligibilità e la legittimità alle azioni, sono i resoconti. Il resoconto è un discorso che precede, accompagna e segue l’azione allo scopo di attribuirle intellegibilità e legittimità. Secondo Harré (1993), il resoconto ha la funzione retorica di conferire all’azione sociale un significato coerente con gli scopi dell’interpretazione (attore sociale e osservatore).
Supponiamo, per esempio, che un uomo abbia commesso un omicidio e voglia giustificare la propria azione di fronte a un tribunale; egli può fare una deposizione di questo tipo: “ero fuori di me, ma quando mi sono ripreso mi sono trovato un coltello in mano e ho visto lui disteso al suolo”. Cosa sta facendo l’imputato? Sta ridescrivendo le proprie azioni ed i propri atti come se non avessero una loro intenzionalità ma fossero spinti da cause esterne non controllabili.

(A. Smorti, Il sé come testo. Costruzione delle storie e sviluppo della persona)

I resoconti, e quindi le storie narrate, entrano in gioco quando:

  • non si riesce a trovare una routine sociale in cui inserire l’atto,
  • se l’atto è discrepante con il suo contesto sociale,
  • quando si vorrebbe ridefinire una routine sociale e quindi, apportare dei cambiamenti.

In tutti questi casi il racconto, che è un testo, ha la funzione di attribuire intelligibilità ad un altro testo, che è l’azione del personaggio.

Con la storia raccontata si può fare insomma, un’analisi anche complessa delle intenzioni del personaggio, sia avanti che indietro nel tempo, si può raccogliere e organizzare l’esperienza.

Del resto la funzione del racconto – ha sempre detto Bruner - è anche quella di trovare uno stato intenzionale che renda comprensibile una deviazione rispetto a un modello di cultura canonico (Bruner, 1990).