1.5 CLASSIFICARE I DIALETTI
Dopo Dante, il tema della classificazione dei dialetti, cioè la delimitazione di aree dialettali o di famiglie linguistiche di appartenenza, viene affrontato solo a partire dal XIX secolo, quando si dedica molta attenzione alla documentazione dei dialetti, fino a quell'epoca solo scarsamente e occasionalmente raccolta.

Se ne occupano studiosi come Graziadio, Isaia, Ascoli e altri, che propongono soluzioni diverse. Classificare i dialetti è un'operazione complessa, si basa su dati linguistici e la scelta implica una certa soggettività, ma nel contempo è necessario tenere conto anche di elementi extralinguistici. Nella maggior parte delle classificazioni dei dialetti dell'Italia vale il principio, introdotto già dall'Ascoli, del confronto con il latino, una valutazione della maggiore o minore distanza dalla lingua dalla quale derivano. Si tratta del cosiddetto criterio genealogico.
L'Ascoli nel 1882 elabora lo schema seguente, sulla base della fonetica:
• gruppo A: dialetti franco-provenzali, dialetti ladini, cioè dialetti considerati appartenenti a sistemi neolatini estranei all'Italia;
• gruppo B: dialetti gallo-italici, dialetti sardi;
• gruppo C: veneziano, dialetti centrali, dialetti meridionali, còrso;
• gruppo D: toscano.
Il gruppo D è quello caratterizzato da una minore distanza rispetto al latino; lo schema si può dunque valutare anche nei termini di una maggiore o minore vicinanza al tipo toscano. Una comparazione con il latino relativamente alla struttura della parola, può dare un'idea di questa maggiore o minore distanza. Osserviamo come esempio gli esiti dialettali derivati dalla parola latina dominica. Esplora le parti attive.

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