2.3 DIALETTI ED EMIGRAZIONE
L'emigrazione italiana, a partire dal 1870 circa, si fece molto intensa, verso destinazioni europee e anche extraeuropee.

Numerosi abitanti delle varie regioni della penisola si spostavano, talvolta per brevi periodo, ma in molti casi definitivamente, in altre terre alla ricerca di una sistemazione migliore. Il dialetto, che quasi sempre, nei primi tempi della grande migrazione, era l'unica lingua degli emigranti, è stato "esportato" in altri paesi. In alcuni luoghi continua a mantenersi anche se è trascorso ben più di un secolo dalla partenza dall'Italia. Sono ben conservati ancor oggi, tra gli altri, dialetti veneti in alcuni territori del Brasile e una colonia veneta si trova ancora nella località di Chipilo in Messico.

Il dialetto si conserva meglio quando le comunità di parlanti sono piccole e omogenee e vivono in piccoli centri di campagna. Nelle grandi metropoli, da una generazione all'altra, la lingua del paese di origine facilmente si perde.

Le parole della lingua straniera del paese ospite che gli emigranti apprendevano erano, di solito, parole riferite a concetti, oggetti, situazioni nuove rispetto all'ambiente di provenienza.
Non conoscendo la lingua straniera, si appropriavano delle parole adattandole al proprio modo di parlare. Alcune voci prese a prestito dagli emigrati dall'inglese d'America (complessivamente italo-americano o italiese) sono già ricordate dal poeta Giovanni Pascoli, nel suo componimento Italy (scritto nel 1904), indicando in nota il corrispondente termine inglese e la traduzione.

Pascoli le aveva sentite da emigranti tornati in Toscana, terra di origine, e le ha inserite, ad esempio, nei seguenti versi:
"L'avete presa la ticchetta?". In inglese ticket significa "biglietto".
"Oh yes, vende checche, candi, scrima" In inglese "cakes" significa "paste", "candy" "canditi" e "ice cream" "gelato".
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