Narrazione

Il primo compito di un tutor allorché si ritrova, durante il primo incontro, un gruppo di docenti accomunati solo dalla causalità nella scelta di intraprendere una formazione, è quello di trasformare via via un "gruppo-destino" in un "gruppo-progetto", compito non facile in una realtà scolastica estremamente auto-referenziale, in cui le occasioni di collaborazione rimangono ancora rare ed episodiche. La costruzione del gruppo, veloce o lenta, dipende da numerosi fattori, come l'appartenenza dei docenti alla stessa scuola: il conoscersi e l'aver condiviso altre esperienze velocizza inizialmente il meccanismo di appartenenza e la naturalità dei rapporti, così come avviene in ogni comunità di pratiche già in parte consolidata, ma può creare in seguito, soprattutto durante la fase di sperimentazione in sottogruppi, momenti di chiusura in gruppi già costituiti e compromettere una fase significativa della formazione che prevede il confronto, il lavoro cooperativo tra scuole diverse e lo scambio di buone pratiche. In più ci si scontra con il poco tempo a disposizione durante gli incontri in presenza e le perplessità iniziali di molti corsisti rispetto alla novità del corso che richiede adeguate competenze informatiche non sempre possedute o praticate, la vastità dei materiali che, almeno inizialmente, scoraggia anche i più volenterosi tra i docenti. La vita e le esperienze di un gruppo di lavoro, di una comunità di studio e di pratiche, a livello adulto o di studenti, si costruisce nel tempo, un tempo sempre tiranno; la capacità di gestirlo e ottimizzarlo al meglio si acquisisce con l'esperienza e si nutre spesso di errori di cui si fa tesoro nell'esperienza successiva. Se "Il racconto della comunità è la sintesi dei racconti individuali" e "raccontare un'esperienza non vuol dire tanto descrivere l'accaduto ma esprimere decisioni e dubbi, percezioni e osservazioni, sorprese ed esiti", ho cercato di riflettere sulle modalità del mio racconto e su come far emergere le riflessioni durante le discussioni e i confronti, i valori scoperti e condivisi, operazione sicuramente non facile alla luce dei numerosi stimoli condivisi durante le esperienze e con la certezza di sacrificare comunque qualcosa nella scelta. Il tempo gioca un ruolo fondamentale nella costruzione del gruppo; nelle restituzioni dei corsisti e della tutor questo elemento viene sottolineato riguardo a diversi aspetti: dal tempo a disposizione per le sperimentazioni, ritenuto sempre inadeguato dai docenti (e dagli alunni che vorrebbero prolungare attività ludiche, sicuramente più divertenti rispetto alle normali attività didattiche normalmente svolte in classe), al tempo dedicato alla lettura e allo studio dei materiali, altra nota dolens delle restituzioni: i docenti lamentano come la prima fase della formazione, coincidente con un periodo spesso intenso di impegni e scadenze scolastiche (verifiche, scrutini di 1° quadrimestre, altri progetti avviati nelle scuole), non possa consentire una lettura completa dei numerosi materiali, per i quali occorrerebbe un prolungamento dei tempi a disposizione. Proprio il fattore-tempo ha molto condizionato le tre esperienze vissute, non si può infatti nascondere come nella seconda annualità, che si è prolungata anche dopo la pausa estiva, le varie fasi e soprattutto la sperimentazione, siano state vissute con maggiore tranquillità dai docenti e il tempo a disposizione ha migliorato le prestazioni e le restituzioni; le altre annualità, concluse entro l'estate, hanno al contrario risentito della ristrettezza dei tempi. Ma certo la modulazione del progetto su un intero anno scolastico rimane la soluzione migliore per far sì che la progettazione si inserisca, in modo naturale, all'interno della programmazione annuale delle attività didattiche.


Le esperienze realizzate con i corsisti, così come le strategie, le modalità di applicazione, i metodi di lavoro utilizzati, sono riproducibili anche in altri contesti analoghi a quelli dove sono stati realizzati; alcuni moduli, come in particolare, Lessico e dizionari dell'italiano o La grammatica dell'italiano sono stati più volte sperimentati nelle varie annualità in contesti di scuole e classi diverse, sempre con risultati soddisfacenti e ciò può sicuramente rappresentare, a mio avviso, un indicatore della riproducibilità dell'esperienza.

Il lavoro nella classe, fra pari, ha rappresentato un "modello" per il lavoro in aula con gli studenti per alcuni elementi sottolineati più volte dai corsisti: la collaborazione, il lavoro di gruppo e l'aiuto reciproco, lo scambio di esperienze tra realtà diverse.

È riproducibile il collegamento con altri docenti della scuola?

In alcuni casi ciò è avvenuto, con il coinvolgimento di alcuni docenti del consiglio di classe che hanno condiviso l'esperienza di sperimentazione, ad esempio tra docenti di L1 e L2 per l'affinità di obiettivi e finalità da raggiungere. Ma certo si tratta di esperienze episodiche che non possono considerarsi sistematiche né facilmente riproducibili: i docenti lamentano spesso come le esperienze di formazione non siano adeguatamente supportate nell'ambiente scolastico e come rimangano esperienze isolate in un contesto non sempre aperto alle innovazioni e alla collaborazione.

Come valutare le esperienze dei corsisti e come percepire elementi di autovalutazione innescati dal processo di formazione?

L'osservazione sistematica del gruppo (lo "sguardo del tutor") è il primo elemento messo in atto durante l'intera formazione; uno sguardo mai invasivo che deve osservare le dinamiche di gruppo, iniziali, in itinere, le trasformazioni avvenute a conclusione del progetto, i rapporti di reciproco "riconoscimento" di una leadership del tutor fattiva e collaborativa, le difficoltà in corso d'opera che possono talvolta bloccare il lavoro, la crescita umana e professionale che, in tali dinamiche, si sviluppa, sia individualmente che nel gruppo. Si osservano i comportamenti iniziali dei corsisti, spesso improntati ad una certa rigidità nel parlare delle proprie esperienze professionali o, al contrario, per alcuni di loro, una sovrabbondanza narrativa del proprio lavoro e delle proprie esperienze. Via via gli aspetti più eclatanti e più individualistici si smussano all'interno del gruppo, per far posto a richieste, domande, dubbi che mostrano al tutor come un processo di "messa in discussione" di certezze sedimentate, preliminare al vero lavoro di collaborazione, si stia attivando.

L'avanzamento dei lavori viene monitorato dalla capacità del gruppo di "travasare" le proprie esperienze, soprattutto nelle classi, di raccontare come gli alunni hanno lavorato, come in un gioco di specchi, in cui ognuno si riflette nel lavoro degli altri, si riconosce come "docente in cerca di aiuto" (frase utilizzata da una corsista), aperto a nuove attività e metodologie che possano andare incontro ai bisogni dei ragazzi oltre che rendere il lavoro in classe meno noioso e ripetitivo. Ed in questa ricerca anche il tutor entra in gioco con la propria esperienza "alla pari" di docente che vive gli stessi problemi e che può far tesoro del lavoro degli altri, un "gioco di sguardi" affascinante e delicato allo stesso tempo, un aspetto su cui si gioca spesso l'autorevolezza del tutor all'interno del gruppo, uno sguardo che deve accompagnarsi sempre, cosa non facile, ad una grande sensibilità e discrezione, soprattutto quando si mettono in atto azioni correttive che possono suscitare reazioni contrastanti, talvolta non facilmente gestibili.

Le esperienze di coordinamento di altri gruppi, all'interno delle scuole rappresentano sicuramente una occasione dalla quale attingere modi e procedure di conduzione; nel mio caso, ad esempio, l'aver coordinato il Dipartimento di Lettere e i Capi-Dipartimento delle discipline o l'aver ricoperto la funzione strumentale di supporto e formazione docenti, nella mia scuola, ha giovato alla mia attività di tutor ed ha rappresentato una preziosa risorsa e un aiuto. Ma non basta. E non può rappresentare una procedura sufficientemente "oggettiva" di osservazione.

Un indicatore che, al contrario, può innescare un processo di valutabilità coerente è quello di mettere a confronto le attese e le aspettative iniziali dei corsisti e i bisogni formativi, con le schede di restituzione finali dell'esperienza, secondo un modello circolare che può servire da canovaccio per un processo di autovalutazione su alcuni aspetti-chiave:

  • il superamento dei timori e delle difficoltà iniziali percepite (tempi, modalità di svolgimento, consegne, ostacoli nell'uso del mezzo informatico …) individuati nell'intraprendere la formazione;
  • le incertezze nell'affrontare un progetto sicuramente diverso dalle formazioni precedentemente seguite;
  • le modalità di lavoro in classe e il raggiungimento degli obiettivi prefissati;
  • la collaborazione con i colleghi e con il tutor.

  • Un lavoro che, semplicemente mutuato dalla mia abitudine di far rileggere agli alunni, a fine anno, alcuni elaborati iniziali, si mostra utile nel dare all'esperienza compiuta significatività attraverso i cambiamenti avvenuti e nel far percepire, toccare con mano in alcuni casi, la crescita professionale avviata. In questo processo, inoltre, il tutor valuta e si auto valuta, così come il docente valuta il proprio lavoro anche attraverso le prestazioni degli alunni e i risultati raggiunti; aspetto ancora delicato, quello della valutazione-docenti, nel nostro sistema scolastico, che occorrerebbe affrontare in maniera meno ideologica e in tutta la sua portata: le pratiche messe in atto con il gruppo, nel bene e nel male, rappresentano per il tutor un metro di giudizio del lavoro svolto, evidenziano, impietosamente, gli errori commessi, suggerendone correttivi e cambi di rotta. All'interno del gruppo anche il tutor costruisce la propria identità professionale e la propria visione del lavoro svolto, come uno specchio che riflette l'immagine di sé, oltre che degli altri.

    Aggiungerei un ulteriore indicatore, la valorizzazione, intesa come capacità del tutor di rendere importanti le esperienze vissute, spesso considerate poco significative dai docenti nella routine didattica quotidiana, anche a causa della scarsa considerazione sociale e la caduta di appeal che il ruolo e la professione hanno subito nell'ultimo periodo.

    Rileggere dunque l'intera esperienza, valutandone gli aspetti critici ma valorizzandone la portata complessiva, rappresenta un momento importante dell'intero percorso e della motivazione. Un docente in formazione è un docente impegnato nel migliorare le proprie capacità didattiche, gestionali e metodologiche per agire sui bisogni dei propri alunni: null'altro lo motiva, né, ahimè, un riconoscimento alla carriera, né, all'interno della propria scuola, della professionalità maturata; è un docente che sacrifica il proprio tempo libero e che raramente trova disponibilità, da parte del Dirigente, o flessibilità nel gestire le attività didattiche pomeridiane!

    Questo è purtroppo il panorama che ad ogni inizio di formazione mi si prospetta e che rende problematica, ad esempio, la calendarizzazione degli incontri in presenza e la tenuta del corso stesso a causa dei numerosi impegni scolastici dei docenti spesso coincidenti con la formazione.

    L'innovatività è il cardine della formazione: senza innovatività non vi è motivazione, miglioramento, coinvolgimento.

    L'innovazione nasce dal cambiamento, di abitudini, di metodi, di materiali; se nella fase iniziale della formazione è d'obbligo partire dalle conoscenze già possedute dai corsisti, dai loro livelli di conoscenze e competenze, motivazioni e aspettative, l'azione del tutor deve spingere il gruppo ad acquisire una nuova consapevolezza, con la riflessione sui processi attivati, sui cambiamenti messi in atto attraverso le nuove tecnologie, su come condurre un percorso formativo fortemente caratterizzato dalla metodologia della ricerca-azione.

    Tali aspetti vengono stimolati in tutte le fasi del percorso, attraverso la riflessione sulle schede di motivazione della scelta e di progettazione in particolare, ma soprattutto durante la fase di monitoraggio della sperimentazione, in cui la consapevolezza delle nuove acquisizioni deve trovare spazio nella operatività.

    Durante le varie esperienze si possono individuare alcuni momenti "canonici" durante i quali emergono alcuni aspetti importanti di innovatività:

  • L'individuazione dei bisogni formativi e la consapevolezza di quanto la "messa in discussione" di certezze acquisite negli anni e consolidate nella pratica didattica sia problematica e difficoltosa.
  • La scoperta che tali bisogni, e le conseguenti difficoltà, siano condivisibili, all'interno del gruppo e quanto le interazioni fra i corsiti e il tutor possano contribuire ad innescare un processo di riflessione e di modifica.
  • La consapevolezza di come le tecnologie, normalmente poco "amate" e poco utilizzate, le modalità di lavoro sperimentate, l'uso delle tecniche del cooperative learning, del lavoro cooperativo di gruppo e collaborativo, riescano ad ampliare e ottimizzare i tempi e le motivazioni degli alunni e degli stessi docenti.
  • Infine, per il tutor, osservare come il racconto delle esperienze di sperimentazione in classe, della motivazione degli alunni nello svolgerle, anche tra i più recalcitranti ad ogni novità, accendano una luce diversa nei docenti, in grado di cancellare la stanchezza dopo le lunghe ore di lavoro in classe.

  • L'alternanza di incontri in presenza e di momenti di lavoro a distanza si può considerare uno degli aspetti di maggiore innovatività dell'esperienza. Inizialmente vissuta dai docenti con un certo spaesamento dovuto alle difficoltà nell'uso degli strumenti della classe (forum, laboratori sincroni), può trasformarsi, per alcuni in modo più determinate che per altri, in un vero input per la crescita professionale.

    Scoprire infatti, come i momenti di interazione tra la comunicazione in presenza e a distanza riescano ad ampliare il lavoro, ad ottimizzare la risorsa-tempo sempre vissuta come un punto debole della formazione, ad implementare lo scambio di riflessioni ed esperienze, rappresenta il valore aggiunto per la potenziale riuscita del corso stesso.

    Non sempre questo avviene e non sempre avviene per tutti; tanti gli elementi che possono condizionare questo processo e non tutti dipendenti dalla buona volontà del tutor: le scarse competenze informatiche, la disabitudine consolidata all'utilizzo del mezzo informatico nella normale attività didattica e nella vita di ogni giorno (si pensi al primo problema da affrontare ad inizio corso, cioè la consultazione quotidiana della casella di posta!), la convinzione che questi metodi siano meno efficaci di quelli tradizionali vis à vis, ecc.

    Sconfiggere tale diffidenza è uno dei compiti più complicati per il tutor nel tentativo di calibrare le ore degli incontri in presenza evitando pressanti richieste dei singoli di aiuto informatico che tolgono tempo alla conduzione del gruppo interrompendo, talvolta, interessanti riflessioni.

    Ho cercato, nel tempo, di imparare a calibrare e alternare tali momenti di sostegno individuale, di differirli anche in ore extra nella classe di formazione, ma, soprattutto, di trovare soluzioni alternative come l'aiuto di docenti esperti nel gruppo che volentieri collaborano nel supporto ai colleghi. Questa modalità, oltre ai benefici immediati nella conduzione della classe, agevola sicuramente la collaborazione, la stima reciproca tra i docenti.

    È interessante, in seguito, riscontrare, nelle restituzioni dei corsisti, lo stesso stile di lavoro applicato nei gruppi-classe con gli alunni e la soddisfazione dei docenti nel constatare come il lavoro di gruppo abbia stimolato negli allievi la disponibilità all'aiuto reciproco e alla collaborazione.

    Infine i materiali: la novità dei materiali, molto apprezzati per la ricchezza dei percorsi, interattivi, ludici, divertenti, flessibili e facilmente utilizzabili in ogni contesto, rappresenta sicuramente un aspetto innovativo di grande attrazione per i corsisti, che ne hanno sottolineato la validità in ogni momento del percorso, sia nei momenti di studio teorico, sia nel loro uso durante le sperimentazioni.

    I risultati raggiunti possono e potranno mantenersi nel tempo, anche dopo la chiusura del progetto, solo se riusciranno a radicarsi nel contesto in cui si opera, nel medio e lungo periodo e solo se potranno generare nuovi livelli di coinvolgimento nella scuola di appartenenza o nel territorio.

    Ma si tratta anche di un aspetto critico, il punto debole dell'impianto di formazione in questi anni:

  • La sistematica diminuzione dei corsi, nel territorio, pone alcune domande sulla efficacia della trasmissione di queste esperienze, spesso ristrette ai soli partecipanti, poco conosciute-riconosciute dalla scuola, nonostante gli sforzi dei docenti all'interno dei consigli di classe e dei collegi.
  • I problemi territoriali (la dislocazione spesso decentrata delle scuole presidio che, in una regione come la Sicilia, pone enormi difficoltà di raggiungimento delle sedi scoraggiando i corsisti alla frequenza) aggravano la possibilità di implementare le esperienze.
  • Infine, e non si finirà mai di segnalarlo sollecitando un intervento più incisivo da parte del MIUR, lo scarso riconoscimento giuridico di tali formazioni, ai fini della progressione di carriera, che potrebbe avviarsi anche con un semplice punteggio aggiuntivo nella graduatoria di istituto, scoraggia non poco l'adesione dei docenti per l'avvio di nuovi corsi.

  • Il timore che l'esperienza conclusa non riesca a "decollare" nelle scuole, coinvolgendo un maggior numero di docenti è stato più volte evidenziato durante la formazione ed emerge anche dalle schede di restituzione, poiché, nonostante il positivo confronto tra docenti provenienti da realtà scolastiche diverse, il mondo della scuola rimane sostanzialmente autoreferenziale, raramente in cerca di confronto e collaborazioni. Il ruolo incisivo della scuola presidio e del Dirigente nel veicolare e stimolare i docenti ad intraprendere un virtuoso processo di aggiornamento professionale risulta di vitale importanza, ma molta strada si deve ancor fare affinché un'esperienza di questo tipo diventi patrimonio condiviso tra le scuole e occasione di collaborazione.

    In questo senso è stata per me significativa l'esperienza vissuta all'interno della scuola presidio "Barbera" di Caccamo per due aspetti:

  • L'essere la scuola presidio un istituto comprensivo, con all'interno la scuola secondaria di I grado, ha aumentato l'efficacia del corso rispetto alle precedenti scuole presidio (Istituto tecnici superiori), coinvolti principalmente nella gestione amministrativa del PON e poco nella funzione di raccordo e di ricaduta didattica tra le scuole dei partecipanti; al contrario la coincidenza delle classi e dei corsisti con l'ordine di scuola a cui è destinato il progetto, ha radicato maggiormente l'esperienza nella scuola e stimolato il carattere propulsivo della scuola presidio.
  • L'azione del Dirigente della scuola presidio, coinvolta in un progetto destinato non solo alla "sua" scuola, ma in generale all'ordine di scuola del quale conosce le difficoltà e gli aspetti didattici, ha sicuramente implementato l'azione che una scuola presidio deve gestire, non solo gli aspetti formali e amministrativi, ma di raccordo sul territorio e di stimolo al miglioramento professionale dei docenti della secondaria di I grado, aspetto questo non secondario per la buona riuscita del corso stesso.

  • È comunque innegabile che là dove la formazione innesca cambiamenti di carattere metodologico sul modo di condurre le attività in classe, fa "assaporare" il gusto di utilizzare nuovi materiali, più divertenti e motivanti per gli alunni, strumenti di lavoro improntati alla collaborazione di gruppo e al cooperative learning, i docenti ritengano tali acquisizioni non estemporanee o legate solamente allo svolgimento del progetto, ma come una modifica in toto del modo di lavorare ed interagire con il gruppo-classe, in continuità con quanto sperimentato.

    Certo la stabilità dei risultati sugli aspetti metacognitivi, cognitivi, metodologici non è facilmente osservabile dal tutor dopo la conclusione del progetto, questo aspetto è condizionato dalla possibilità che il gruppo si trasformi in una vera comunità di pratiche; anche in questo caso il tempo è un elemento condizionante affinché ciò avvenga, al di là dei desideri. È stato più volte sottolineato, durante gli incontri con i docenti, come la creazione di reti di scuole presidio, potrebbe costituire un input non solo all'avvio dei prossimi corsi, ma anche alla disseminazione dell'esperienza, con la fattiva collaborazione di tutti gli attori (scuole presidio, tutor, INDIRE).

    Il valore aggiunto, rispetto all'innalzamento professionale dei partecipanti e del tutor, potrà generare nuovi livelli di coinvolgimento per esperienze simili nella scuola di appartenenza e nel territorio solo se si metteranno in atto azioni di coinvolgimento dei docenti impegnati nella formazione, dei Dirigenti e delle scuole presidio, capaci di rendere visibili le esperienze attuate, valorizzandone le ricadute nelle singole scuole. In questo contesto la funzione del tutor può essere di grande utilità, come trait d'union tra i corsisti e tra le scuole coinvolte.