Narrazione

Nell'anno scolastico 2012/2013, per effetto della riformulazione/compressione oraria della cattedra di lettere nella scuola secondaria di primo grado, graziosamente concessa dalla L.133/2008, a decorrere dell'A.D. 2009/2010, mi sono state assegnate due classi di prima media, (10 + 6 ore), integrate con un residuo di due ore (geografia) in una classe seconda.Ho deciso di innestare il progetto solo in una delle due classi, e trasferire una parte, rimodulata, nell'altra.

Quindi ho potuto constatare, de visu, e da una posizione "privilegiata", che è certamente riproducibile un progetto che presenti, come primo requisito, quello di interrompere il flusso ordinario della programmazione, per incardinare l'attenzione degli alunni su un percorso che prevedeva "l'abbandono" dei libri di testo, e abbracciare un lavoro in divenire, secondo un profilo di didattica laboratoriale, e di suddivisone per gruppi.

Riproducilità

Differente il discorso della trasferibilità in altri contesti; se per "altro contesto" si intenda un'altra scuola, magari con utenza più connotata da ceto sociale medio borghese e "cittadino", o un altro ordine di scuola. In questi casi gli opportuni adattamenti, forse, dovrebbero essere accompagnati da radicali cambiamenti.

Trasferibilità
È certo che, nel gruppo di lavoro con cui ho collaborato durante il corso PON Educazione linguistica e letteraria in un'ottica plurilingue, vi era una collega, docente di latino e greco, (classi IV e V ginnasio) che ha sviluppato la medesima area tematica, "Sviluppo della competenza semantico-lessicale" e il medesimo percorso, "Insegnare ad apprendere il lessico". L'esperienza con gli "studenti" (alunni) è stata sicuramente condizionata (in positivo) dal confronto con i colleghi del corso e dal tutor. In quale misura? Quella che affiora, naturalmente, da ogni discussione tra "pari" e cioè: scambio di esperienze pregresse; consigli di lettura; inviti alla consultazione di siti nuovi e interessanti; collaborazione fattiva e spontanea nella strutturazione del percorso ai fini di una migliore leggibilità e traduzione nelle classi. La verifica delle conoscenze, è stata caratterizzata, in massima parte, da un lavoro individuale. È stata la fase in cui ho apportato alcuni cambiamenti, trasformazioni rispetto l'impostazione iniziale: la somministrazione di test a risposta multipla è stata allentata a vantaggio della compilazione di un lemmario e glossario, e predisponendo riscontri di coerenza con quanto affrontato e di "dislocazione" in altri contesti, ove previsto.

Il discorso sulle verifiche investe quello sulla valutazione: nel corso del progetto, più precisamente nelle fasi centrali, insieme alla necessaria modalità di valutazione formativa, che ho cercato di realizzare anche per mezzo del tutoraggio (l'alunno "bravo" insieme a quello più svantaggiato cognitivamente, psicologicamente e socialmente) ho scoperto, forse in ritardo e con qualche deficit di troppo, la valutazione condivisa con gli alunni: percorso da ri-costruire per restituire loro maggiore consapevolezza delle acquisizioni e del processo di apprendimento in genere.

Valutabilità

La declinazione degli obiettivi didattici da raggiungere (ampliare la conoscenza del lessico della lingua italiana, potenziare l'uso consapevole del lessico specifico, consolidare/potenziare la capacità espressiva, consolidare/potenziare l'abilità di lettura del testo, capacità di "riflettere" su di esso), è stata costruttivamente orientata da una esigenza che si è gradualmente sviluppata nel corso dei giorni, grazie anche alla "complicità", alle osservazioni, alle suggestioni che rimbalzavano dalla piattaforma Indire, tramite gli incontri sincroni, sia all'interno del gruppo di lavoro, sia rispetto quelli "esterni"; tale esigenza può essere riassumibile in questo modo: la ricorsività, intesa come scambio continuo tra la dimensione del parlare e quello dello scrivere, per meglio distinguere la "riflessione" dal "riflesso", il "centrale" dal "tangenziale".






Ricorsività

In questo senso, fin dalla fase della presentazione, l'alternarsi di ascolto e lezione frontale, di discussione guidata e di possibilità di prendere appunti, ha costituito un circuito di potenzialità che, reputo, possa essere intensificato nei prossimi due anni.

La seconda fase, la lettura ed analisi dei testi (ma più che "analisi", in una prima di secondaria di primo grado sarebbe meglio parlare di "riflessione" e commento), è quella che si è più caratterizzata per la distanza che ha marcato rispetto l'impianto teorico, se non altro per la dilatazione del tempo, nel segno di una "didattica della lumaca".

Infatti, per mezzo della proiezione del testo sullo schermo della LIM, si è proceduto ad una duplice osservazione: diffusa e concentrata. La prima esplorava il testo, la sua spazialità e peculiarità; la seconda prelevava le informazioni principali, distinguendole da quelle secondarie, secondo uno "sguardo" prospettico. Prima della individuazione del lessico specifico, la considerazione sulle forme verbali consolidava la riflessione grammaticale ai fini di una comprensione del testo coerente e "logica". Quindi, secondo la ricorsività di cui accennavo sopra, si avviava l'impostazione di una conversazione che si incaricava di sintetizzare quanto letto, in un'ottica di personalizzazione (e magari di interiorizzazione …) e non di memorizzazione.

Innovatività

La compilazione, sul quaderno, di un lemmario, e di un relativo glossario, completava idealmente questo percorso. Ed è stata la sub-fase che ha prodotto le più decise ramificazioni, sia per il tempo che è stato investito, sia per le investigazioni delle relazioni reciproche che i lemmi e le glosse contenevano all'interno del con-testo e all'esterno di esso.

La macchina delle parole

In questo senso la costruzione di un "repertorio di parole" ha obbedito al principio fissato nel percorso e cioè che le parole "servono per fare l'inventario del mondo, delle cose, delle esperienze, delle emozioni, dei sentimenti: insomma di tutta la realtà esplorabile e insondabile".

Anche l'avviamento all'uso degli strumenti, cartacei e relativamente ponderosi, di ricerca in maniera fluida e ragionata ha provocato l'allungamento dei tempi della attività didattica.

Un deciso scostamento, rispetto l'impianto iniziale, è stato delineato dalla naturale, spontanea necessità di formulare domande, interrogazioni, anche inconsuete, per poi trascriverle sul quaderno e lasciarle a sedimentare. L'obiettivo non era tanto quello di fornire risposte confortanti, ma quello di mettere in crisi il destinatario della stessa domanda, per spiazzarlo e costringerlo ad una formalizzazione coerente, sotto il punto di vista morfosintattico, della risposta che, se poteva anche non essere corretta dal punto di vista contenutistico, doveva distinguersi, appunto, per una maggiore precisione formale.

L'esito, provvisorio, di questa fase ha provocato la consapevolezza, negli alunni, che il mondo delle parole è anche il mondo dei fatti, delle realtà, delle direzioni di senso. Un mondo combinatorio che trasforma e si ritrasforma. Un meccanismo di astrazione che genera fatti concreti e sogni, azioni e speculazioni: un puzzle, potente e predisposto all'infinito, di effetti speciali che, confrontati con quelli generati dai software, risultano essere più stimolanti, più "nuovi", capaci di costruire relazioni con se stessi e con il mondo esterno.

Ad integrazione, rispetto quanto sopra, ho privilegiato la riscrittura dei testi esplorati in forma di sintesi, finalizzando le operazioni di selezione delle informazioni di primo e secondo piano che i testi letti e discussi contenevano.

Considero questo nodo per la trama narrativa ricco di echi stimolanti.

Una delle quali si riferisce alle Indicazione nazionali per il curricolo della scuola del primo ciclo d'istruzione (2012), laddove si invitano i docenti a prendere in considerazione gli "intrecci disciplinari", "a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza", a "curare le aree di sovrapposizione tra storia e geografia". Certamente è presente, in questo testo, la lezione di E. Morin e di un suo celebre, e agile, saggio.

Ciò premesso, mi sono chiesto se gli alunni possano essere rappresentati come dei veri soggetti pluridisciplinari: l'aggettivo è certamente "sbiadito", rispetto quello, per esempio, di "interdisciplinari", ma ha il merito di rispecchiare la dinamica del curricolo e la distribuzione oraria.

Allora ho pensato che uno dei compiti dell'insegnante sia quello di rendere più complesso e consapevole il profilo pluridisciplinare per abbattere alcuni automatismi che corrono il rischio di soffocare sia il lavoro dell'insegnante, sia quello dell'alunno.

Quindi, in riferimento agli automatismi di cui sopra, penso a quello che riguarda il dovere di superare la prova, la verifica esclusivamente per la prova e la verifica stessa.

Quello che riguarda la relazione, intessuta di noia, di ripetizione fine a se stessa, di rifiuto e a volte di angoscia, che intercorre tra l'alunno e l'istituzione scuola.

Quello che riguarda la non comunicazione tra "saperi", tra le discipline e la conseguente ghettizzazione, che inibisce le potenzialità che riguardano "l'essere curiosi" e "l'essere in grado di scoprire".

In sintesi, traduco sostenibilità in possibilità di avere potuto, per gli alunni, accostarsi a un "petit tour" che abbia fatto percepire loro che la dimensione del sapere, è lontana da qualsiasi processo accumulativo e quantitativo, ma che è frutto di selezione e di riflessione; di raccordo ragionato; di metodo.

Sostenibilità

Per gli aspetti cognitivi e metodologici penso che gli alunni abbiano conservato l'idea che l'etimologia è una grande risorsa, un'avventura nello spazio e nel tempo; che l'evoluzione della "radice" di un termine può essere pensata come un'indagine poliziesca, come un "giallo"; e che "fermare" alcuni pensieri, osservazioni, dubbi, incertezze sullo spaventevole vuoto della carta, o sul bianco luminoso dello schermo LIM, è un'occasione per interrogarsi, non per essere interrogato, e quindi un'opportunità per procedere al completamento di un quadro di informazioni suscettibile di essere continuamente riplasmato.

"Sostenibiltà" può significare, anche, in quale misura lo sviluppo lessicale che si promuove nelle classi è in grado di mutare l'ambiente (linguistico) in cui i nostri ragazzi vivono, cioè al di fuori della classe. Come il sistema lessicale di ciascuno può incidere sul sistema linguistico della comunità in cui ciascuno vive. È un punto di incontro con l'ultimo nodo della trama narrativa.

Sostenibilità

Nel corso dell'attuale anno scolastico mi propongo di approfondire la valutazione condivisa con gli alunni e di frequentare un interessante contributo inserito in PON Educazione linguistica e letteraria in un'ottica plurilingue, e cioè "Scrittura e revisione del testo: l'anafora, quale risorsa fondamentale per la coesione".

Il processo dell'apprendimento permanente è condizione imprescindibile di chi opera nel mondo della scuola. Questa, la prima osservazione.

L'impatto che le esperienze formative possono avere, e quelle dell'Indire in particolar modo e per "statuto", non può che generare una maggiore consapevolezza sul ruolo e sulla funzione di ogni insegnante.

In questo senso le azioni intraprese hanno modificato il mio modo di stare in classe, di relazione con gli alunni.

Sicuramente nel medio e lungo periodo tale processo non potrà che intensificarsi e coinvolgere, ciascun secondo le proprie capacità e "linguaggi", i dipartimenti e i Cdc. Mi riferisco, dichiaratamente, a questi contesti perché essendo più circoscritti la circolazione delle "idee" è meno dispersiva, rispetto un Collegio docenti.

Potenziale radicamento